La componente “tempo” nel mondo del lavoro

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Sarà il momento per prendere atto che si cambia lavoro anche valutando il fattore tempo? Soldi e carriera sono solo due componenti di una torta con più gusti. Ogni strato ha la sua importanza.

E se il tempo può diventare denaro, quasi mai il denaro dà più tempo.

C’è evidentemente un trend sui “bei tempi”, “quando ero giovane io sì che si lavorava duro”, “Eh, la gioventù oggi non ha voglia di lavorare”. Ma che senso hanno questi messaggi?

Secondo me sottovalutano che:

1. Questa generazione ha competenze che ci sognavamo di avere a quell’età solo 15/20 anni fa. A 25 anni oggi molte e molti ragazzi conoscono se stessi e cosa desiderano, parlano 2 o 3 lingue, hanno vissuto all’estero da 6 mesi a 1 anno, sanno che il mondo è anche un mercato: “Se non mi dai quello che merito, andrò a cercarlo altrove”

2/ I nati attorno al 2000 hanno senza dubbio maggiore sensibilità sulla sostenibilità del lavoro, intesa anche come ambiente relazionale. In questo sono più maturi di quanto io sia mai stata a quell’età: l’importanza di certe questioni mi è stata chiara dopo 10 anni di sperimentazione della terna dei cosiddetti “bei tempi lavorativi”: pochi soldi – poco tempo libero – poco rispetto delle persone.

3/ Questa generazione ha chiaro, e dopo la pandemia ancor di più, che senza tempo non solo non puoi avere una vita privata soddisfacente, ma non puoi nemmeno avere un lavoro soddisfacente, perché non avrai mai tempo per aggiornarti, studiare, osare, cambiare, farti domande, conoscere, approfondire, insomma: FARE UN BUON LAVORO.

In conclusione, tutta questa retorica su quanto siamo stati bravi è veramente fuori luogo, triste, priva di fondamenta e persino meschina. Una competizione generazionale che non ha senso.

Ma non vi piacere che le condizioni di partenza del mondo del lavoro possano migliorare rispetto a quelle che abbiamo trovato noi all’ingresso?